Qual è la città del futuro? Una città a misura di bambino!

L’invito del sociologo Alessandro Bosi: “Ridiamo i cortili ai bambini!”, per rivedere gli spazi di una città secondo le esigenze di tutti i suoi abitanti
Che cos’è una città aperta se non uno spazio a misura di bambino? In occasione del Festival “Parma Città Aperta-LegAmi Umani”, che invita all’integrazione culturale e umana, abbiamo proposto una riflessione al sociologo Alessandro Bosi, storico professore dell’Università di Parma, sugli spazi aperti e sul concetto di città, anche dal punto di vista dei piccoli abitanti. Difficile definire un modello di città oggi che possa ospitare tutti, grandi e piccini, più o meno deboli, rispondendo alle esigenze di ognuno di loro. La città industriale, nonostante ci abbia portato verso il progresso, non ci ha forse costretti a rinunciare ad alcuni angoli di strada preziosi per la nostra crescita? Quali luoghi abbiamo dovuto sacrificare? Ne parliamo con il prof. Alessandro Bosi, che ci riporta indietro nel tempo, quando la città era lo spazio di gioco preferito dai bambini, e non solo.
Partiamo da una definizione, che cos’è una città aperta?
«È una città che corrisponde alla sua vocazione originaria, quella di dare a tutti gli umani il diritto di muoversi liberamente. Gli ingredienti fondamentali perché nasca una città aperta sono tre: cittadinanza, politica e democrazia. È così che è nata la polis, la città originaria, dove uomini, donne, vecchi e bambini si muovevano senza limiti di spazi. Una città è aperta se risponde a queste caratteristiche.»
Caratteristiche che non ritroviamo nelle città attuali…
«Il modello che domina in città oggi ha degli spazi limitati e degli orari ben precisi, e va in conflitto con l’idea di un movimento libero, da parte soprattutto dei soggetti più deboli di una comunità. Siamo ben lontani dall’essere città aperte.»
È un problema legato al periodo storico in cui viviamo?
«Assolutamente sì. Questo modello di città novecentesca corrisponde allo sviluppo della città industriale, che ha sicuramente acquisito dei meriti formidabili nella storia, legati al grande progresso economico. Ma ormai dobbiamo guardare ancora oltre e pretendere una città del futuro conforme alle aspettative e alla cultura di un tempo che è post-industriale. Riammettiamo i bambini, e i soggetti più deboli, negli spazi urbani. Solo così la città si rinnova, cambia e si trasforma.»
Com’è oggi la città dei bambini?
«C’è stata una tendenza diffusa che ha permesso di identificare la città dei bambini nei luoghi educativi: scuole, palestre, edifici, spazi sempre chiusi, sottoposti al controllo vigile di un adulto, che sia un parente o un educatore.»
Quali sono le conseguenze di questo controllo costante?
«I bambini, abituati ad essere protetti, perdono la loro autonomia. È ormai un’alleanza strategica, non possiamo permetterci il lusso di perderli di vista! Il protrarsi negli anni del controllo esercitato sui bambini sembra stia creando una sorta di doppio vincolo: gli adulti sono in ansia se perdono di vista i piccoli, che a loro volta sono sempre più insicuri e timorosi di restare soli!»
Ci vorrebbe una rivoluzione urbanistica?
«No, abbiamo già gli spazi e i tempi giusti. Basterebbe il buon senso, bisogna riconsegnare ai bambini lo spazio del cortile e lasciare che si muovano liberamente nei quartieri, nelle strade, nelle scale dei condomini. Ci vorrebbe una rivoluzione culturale, più che urbanistica.»
Qual è la città che si auspica nel prossimo futuro?
«Una città dove l’organizzazione della vita sarà concepita diversamente dal presente, dove ingegneri e architetti sapranno disegnare mezzi che consentano il movimento in modi meno arcaici di quanto ancora fanno le automobili e i bus. Solo così saremo forse liberi di mettere in strada bambini, vecchi e altrimenti abili, che potranno crescere imparando quell’antico gioco che sono le relazioni sociali.»
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