Più educazione anche a scuola

Più educazione anche a scuola

Grembiulino, zaino in spalla e tanta voglia d’imparare e, a volte, anche un po’ di sbadigli… così molti bambini escono di casa al mattino per recarsi a scuola. Poi però arrivano a scuola e spesso questi stessi bambini diventano aggressivi, maleducati o addirittura bulli!

Forse la scuola oltre a insegnare a risolvere le equazioni, a scrivere un tema in italiano perfetto, a tradurre l’inglese e a far conoscere come funziona la fotosintesi clorofilliana, dovrebbe puntare anche sull’educazione, sul rispetto, dovrebbe insegnare la giusta misura nelle cose, la differenza fra il lasciar correre e l’aggredire.

È vero che questo tipo d’insegnamento spetterebbe di più alla famiglia, ma anche gli insegnanti si rapportano con i piccoli e anche loro sono modelli di riferimento per i bimbi, quindi l’invito che lancio è perché non fare 1 ora a settimana di insegnamento all’educazione, alla gentilezza, alla cortesia?

Daniela Lella

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One Comment

  • Daniele Durante20. Ott, 2015

    Dipende da cosa si intende per gentilezza. Acquiescenza forzata? Obbedienza? Docilità?
    Difficile per me credere che in una Società in cui non siamo stati educati a chiedere e soprattutto a sentirci grati per ciò che abbiamo e a esprimere questo senso di gratitudine, si possa ambire a instillare il senso della cortesia e della gentilezza.
    Difficile per me credere che la maggior parte di noi trovi utile introdurre la nozione di gentilezza nelle scuole, perché molti la confondono col concetto di ubbidienza acritica e forzata.
    “Non essere maleducato! Sorridi al nonno, allo zio, al parente di quinto grado…”. Perché? Perché ci si preoccupa dei giudizi degli altri.
    Ci hanno educati a tenere sempre presente la valutazione che gli altri possono esprimere sul nostro conto, che si tratti di un rappresentante dell’Autorità, di un genitore, di un insegnante. Si confonde questa preoccupazione e il conseguente comportamento con la gentilezza.
    Credo, inoltre, che uno dei problemi che portano i bambini a reagire nei modi descritti sia la difficoltà, per il modo in cui è strutturata e organizzata la famiglia e l’Istituzione scolastica italiana tradizionale di tener conto di molti bisogni naturali dei bambini.
    Partire da questo potrebbe aiutare gli adulti ad entrare in maggiore sintonia anche con i propri bisogni?
    Facilitare l’apprendimento, incuriosire, favorire la reciprocità tra bambini e ragazzi – vedi gentilezza – e sostenere il raggiungimento di obiettivi didattici comuni in cui alunni e studenti sono coinvolti nel processo di apprendimento (perché no, anche d’insegnamento) non è una forma di gentilezza?
    Perché costringere i bambini che sono in piena fase di esplorazione e scoperta, che vedono la vita attraverso il gioco, a restare seduti per ore in classe?
    Perché, nonostante sia risaputo che a letto presto non ci va mai nessuno, farli entrare a scuola alle 8 quando sono ancora dormienti e non posticipare l’orario d’inizio delle lezioni alle 10 quando il livello di attenzione è già un po’ più alto? Non è già di per sé una mancanza di gentilezza?
    E poi ammesso che a scuola si riesca a organizzare un sistema che sensibilizzi alla gentilezza, resisterebbe ai messaggi della cultura extra-scolastica (televisione, musica, sport) che incitano all’aggressività, alla competizione e alla prevaricazione?
    Mi chiedo, inoltre, se istituendo un’ora di gentilezza il messaggio conseguente diventi ammettere la possibilità che nelle restanti ore ci si possa comportare diversamente.
    E’ un po’ come parlare di sicurezza sul lavoro per cui a furia di tenere distinto il comportamento sicuro dal concetto di lavoro la sicurezza finisce per essere vista come un fattore contrastante, che sottrae tempo al lavoro. Per questo motivo molti prodotti sono scadenti, si rompono prima, sono pericolosi e il tasso di incidentalità e d’infortuni continua a rimanere alto.
    Così per la gentilezza. Tanto un lavoro fatto bene e di qualità è sempre intrinsecamente non disgiungibile dal concetto di lavoro sicuro, così l’educazione senza la gentilezza non è educazione. E’ costrizione, irregimentazione, assolvimento di un obbligo con tutte le conseguenze motivazionali che ben conosciamo (o forse no?).
    E quanto è difficile parlare di gentilezza in un sistema che ricorre alle punizioni, ai voti e alle ricompense.
    Perché non cominciare a mettere in discussione l’utilità dei giudizi moralistici usati dall’autorità che determina ciò che è giusto o sbagliato, buono o cattivo, che ammette ancora l’uso dei voti e delle sanzioni disciplinari e che adotta la visione del bambino come oggetto da plasmare, imperfetto, volubile e intrinsecamente egoista? Perché non sensibilizzare le Istituzioni politiche perché gli insegnanti e le scuole non facciano più sì che gli studenti lavorino per ottenere i voti alti, così che non possano poi, una volta diventati adulti, essere disposti a lavorare diverse ore al giorno per decine d’anni della loro vita, svolgendo compiti privi di significato per ambire agli aumenti, agli incentivi, invece di preoccuparsi del senso del proprio lavoro, della qualità dei rapporti con i colleghi e dell’intrinseca soddisfazione di produrre per soddisfare importanti bisogni delle persone?

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