Interrompere un magico momento

Vi è mai capitato che… le esperienze con i vostri figli vi facessero rivivere le sensazioni di quando eravate bambini? Sono Marina, mamma di Nicola ed Enrico, due gemelli di sette anni. Come tutti i bambini, anche i miei amano il gioco e gli amici e io mi scapicollo a organizzare, incastrare con i miei impegni e assecondare i loro incontri. Le loro esperienze a volte mi riportano indietro nel tempo e mi ritrovo così a riflettere sulle sensazioni che in certe occasioni provavo, lasciando spazio a un desiderio di correzione che oggi, se fossi talvolta più riflessiva e meno presa dalla “organizzazione”, avrei l’occasione di concretizzare.
Ricordo che da bambini, giocando tra coetanei, quando si arrivava al culmine del gioco e il coinvolgimento era tanto arrivava un adulto a infrangere quella magia. Interrompere quel momento magico di massimo divertimento e solidarietà era l’ultima cosa che avresti voluto al mondo! Allora iniziavano le suppliche perché ci fosse concesso altro tempo che portasse all’infinito quel momento. “Il gioco è bello se dura poco!”, dicevano allora i grandi: l’ultima cosa che avresti voluto sentire! Io mi chiedevo perché mai la gioia dovesse durare poco, perché non avere la speranza di riuscire a prolungare al massimo quella dimensione. Il gioco è bello anche se dura all’infinito, pensavo.
Ora, tornando a quei momenti, credo che parole diverse, che fossero riuscite a far comprendere l’importanza di sapersi riposare per ricreare quelle emozioni, avrebbero alimentato quella speranza che la gioia può essere ripetibile. Forse avremmo potuto cogliere il valore di sapersi ricaricare, imparando che continuare oltre ogni costo rovina le cose e che se si vuole niente si interrompe e tutto può riprendere. Probabilmente i saluti sarebbero stati meno drammatici.
Oggi sono una mamma e come tutte anch’io mi trovo a dover interrompere quel magico momento. Talvolta per la fretta, talvolta per necessità diverse, accorcio i tempi concentrando tutto in quella classica e complessa frase. Mi morderei la lingua! E mi viene da sorridere, ripensandoci, perché quegli sguardi imploranti e quelle suppliche dei miei figli colpiscono ancora il desiderio di speranza che provavo allora e mi piace ritornarci, fantasticando con loro su quando e dove rincontrarci per ricominciare.

A cura di Anna Marraccini e Giorgia Diana, mamme, comunicatrici e socie di MammaTrovalavoro

Elisabetta Musi Ricercatrice di Pedagogia Generale e Sociale presso l’Università Cattolica di Milano (sede di Piacenza)

Il gioco non è solo la modalità espressiva più propria dei bambini, con cui sperimentano la realtà entrando in confidenza con quanto racchiude, è un fotouniversale, uno spazio in grado di creare una distanza tra la realtà e la sua rappresentazione, un esercizio per comprenderne il funzionamento. Questo lo rende evocativo (“Vi è mai capitato che… le esperienze con i vostri figli vi facessero rivivere le sensazioni di quando eravate bambini?”) e congiuntivo, capace cioè di avvicinare mondi: quello dei bambini e quello degli adulti, di stabilire ponti di comprensione reciproca nell’esperienze di gioco che piccoli e grandi realizzano insieme. “Si gioca inevitabilmente con la vita seria e si immette serietà nei giochi. Senza questo doppio movimento, che si iscrive in un’oscillazione costitutiva, la vita seria non sarebbe sopportabile e il gioco non sarebbe divertente”, scrivevano Alessandro Dal Lago e Pier Aldo Rovatti nel 1993, in un bel libro intitolato Per gioco (Cortina, p. 11). Quando il gioco – di parole, di sguardi, di azioni e significati – fa capolino nella vita “seria” cambiano le regole, si confondono i ruoli, si destrutturano i copioni, si liberano nuove energie. Ma perché questo accada è necessario che si mantenga una alternanza tra vita ordinaria e vita giocata. I bambini lo sanno bene e scandiscono il passaggio da un ordine di realtà all’altro con piccoli riti (ad esempio con la ripetitività di certi comportamenti nei giochi individuali o con la “conta” e i rituali di assegnazione dei ruoli nei giochi di gruppo), i grandi vi partecipano quando assumono il compito poco apprezzato di chiudere i giochi, suscitando prevedibili reazioni oppositive che a loro volta concorrono a scandire i due piani di vita. Si dice infatti “Il gioco è bello se dura poco” non solo per indicare una formula rituale assunta a saggezza popolare e quindi in grado di sollevare responsabilità e sensi di colpa, ma per indicare il valore (“il bello”) della dialettica tra gioco e non-gioco. Ogni volta che ci inseriamo in una dinamica di gioco, infatti, si ridefinisce il nostro rapporto col mondo: si sospende la pressione dell’esperienza per dare vita a nuove forze che consentano di rielaborare le informazioni acquisite fino a quel momento. Attraverso la dialettica tra finzione (reversibilità ludica) e “vita seria” (irreversibile), il gioco sostiene la possibilità di entrare e uscire dall’ordine del possibile, consentendo un prudente sperimentarsi in ruoli e relazioni inusuali. Permette di intervenire sulla rappresentazione della realtà, condizione essenziale per intervenire sulla realtà stessa ampliando gli spazi della pensabilità. In questo modo il gioco sospende la consuetudine e indirettamente la problematizza.
Consente di ricreare la scena intorno a sé o di spostarsi in un altro mondo. Non meno vero del primo, eppure affacciato su altre verità. Lo squilibrio che si crea permette di conseguire insospettate scoperte su di sé (competenze, risorse, intuizioni), apprendimenti e ipotesi di mondo difficilmente conseguibili in altro modo. Ma per verificare questi apprendimenti è necessario, appunto, tornare alla vita “ordinaria”, che costituisce l’implicita posta… in gioco.

Elisabetta Musi, ricercatrice di Pedagogia Generale e Sociale presso l’Università Cattolica di Milano (sede di Piacenza), è in rete con professionisti di Mamma Trovalavoro.
Elisabetta Musi fa parte del gruppo “Eidos – Fenomenologia e Formazione” (diretto da Vanna Iori).
È membro dell’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, del Comitato Scientifico della rivista “Bambini” e della Collana “Vita emotiva e formazione”.
È responsabile del Coordinamento pedagogico delle Scuole dell’infanzia e dei Nidi FISM di Parma e provincia; svolge da anni attività di ricerca sui temi della vita emotiva e della cura educativa negli ambiti delle relazioni professionali, familiari, della differenza di genere, della pedagogia neonatale.
Realizza percorsi formativi per lo sviluppo delle competenze relazionali ed emotive nei contesti del lavoro sanitario, scolastico, nei nidi d’infanzia e in ambito aziendale.
Tra le sue pubblicazioni:
– Concepire la nascita. L’esperienza generativa in prospettiva pedagogica, Franco Angeli, Milano, 2007;
– Non è sempre la solita storia… Interrogare la tradizione, dar voce alla differenza di genere nelle pratiche educative, Franco Angeli, Milano, 2008;
– Invisibili sapienze. Pratiche di cura al nido, Junior-Spaggiari Edizioni, Parma, 2011;
– Educare all’incontro tra generazioni. Vecchi e bambini insieme, Junior-Spaggiari Edizioni, Parma, 2014.

 

 

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