Il bullismo

Comportamenti aggressivi, presuntuosi, insomma, bulli…di questo parliamo oggi su Bimbi Parma con il parere dell’esperta psicologa scolastica e psicoterapeuta Emanuela Manara.
Ecco quanto è capitato a mio figlio Piero, di dodici anni, che frequenta la seconda media e come ho vissuto io come mamma l’esperienza.
Tempo fa notai che Piero tornava da scuola con qualche piccolo graffio o livido. Capitava, non quotidianamente, ma spesso. Mi spiegò che Paolo, un nuovo compagno di classe, era un po’ manesco e così durante la ricreazione, giocando, poteva capitare che gli facesse qualche graffio. Avevamo affrontato spesso il discorso sul bullismo e, accorgendosi che ero preoccupata, mi chiese di non parlarne con i professori. Mi stupiva la sua apparente serenità e decisi così di ascoltare la sua richiesta, ma mi mostrai determinata ad accettare quella situazione solo se a breve fosse riuscito a trovare da sé una soluzione.
Accadde però che qualche giorno dopo Piero tornasse da scuola particolarmente nervoso e insofferente e io, notandogli un grosso livido sul braccio, immaginai subito la scena di Paolo che gli faceva del male. “Così non va bene”, dissi, “domani chiederò un incontro con i professori: non è giusto che tu subisca questa violenza e loro non ne siano informati. È importante affrontare…”. Non riuscii però a terminare, perché Piero mi interruppe: “Non è stato Paolo, non è così come pensi! Lui non conosce altri modi per giocare! Non potete sempre prendervela con lui; non metterlo nei guai anche tu, già i professori ogni giorno lo rimproverano e gli dicono che sarà bocciato anche quest’anno! Invece non sopporto Alessandro: lui che si sente sicuro e sempre superiore agli altri è cattivo, picchia per far male. Guarda oggi cosa mi ha fatto! E non è niente rispetto a quello che fa ogni giorno a Federico”. Scoppiò allora in un pianto di rabbia: “È di lui che devi parlare con i professori: questo livido fa più male di 100 che può farmi Paolo”.
A cura di Anna Marraccini e Giorgia Diana,
Il parere dell’esperta in psicologa scolastica e psicoterapeuta Emanuela Manara
Scoprire che il proprio figlio è vittima di aggressioni, prepotenze o atti di bullismo è uno shock che apre legittime ansie, preoccupazioni e domande.
Spesso non si sa da che parte iniziare e cosa sia più giusto fare. Gli atti di aggressività, esperienza comune all’interno di un gruppo, si differenziano dal bullismo, che ha caratteristiche e gometrie ben precise, riconosciute a livello internazionale. Il comportamento del bullo viene messo in atto volontariamente e consapevolmente, è sistematico e reiterato nel tempo, con una asimmetria di potere dove la vittima si sente indifesa e sopraffatta.
Ritornando alla situazione di Paolo, bene ha fatto questa mamma ad accogliere il malessere del figlio in maniera discreta, osservando la situazione e intervenendo in un secondo momento con gli insegnanti; la situazione è così complessa che non porta a niente ‘farsi giustizia da soli’. Il bullismo si nutre di ostracismo e personalismi: è bene quindi affrontarlo con atteggiamenti di denuncia, di comunicazione aperta, condivisione, confronto con l’istituzione per poter avviare un intervento sistemico.
Oggi occorre prestare attenzione anche al cyberbullismo, una forma di prepotenza reiterata messa in atto attraverso l’uso delle nuove tecnologie (telefono, chat, social network…) per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo o escludere. Questi soprusi nascono spesso nel contesto individuale, a casa, e vanno poi a fomentare fenomeni di gruppo all’interno della scuola. L’attenzione deve essere quindi posta sia sul fronte scolastico che su quello familiare.
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