False esigenze. Un invito a pranzo.

False esigenze. Un invito a pranzo.

Oggi su Bimbi Parma parliamo dell’esperienza di Mina, mamma di tre figli.

“Mio  figlio Alessandro veniva invitato a pranzo  abbastanza spesso da Daniele, un suo  compagnetto delle elementari. Io trovavo la cosa  del  tutto normale. Un certo giorno, Alessandro  accettò un invito a pranzo da Luca, un altro  compagno. Quella stessa mattina ricevetti una  telefonata dalla mamma di Daniele, che invitava  Alessandro a sua volta. Sentendo che mio figlio  era già impegnato, la mamma di Daniele si  arrabbiò con quella di Luca: ‘Betti sa bene che il    martedì Alessandro è da noi, come faccio a  dirlo a  Daniele?’. Scoprii così che quella mamma dava  per scontato che il martedì mio figlio  fosse sempre a pranzo da loro, disponendo del suo tempo e del suo piacere. A quel punto le    spiegai che ritenevo giusto, e volevo, che Alessandro potesse essere libero di accettare gli inviti  che gli erano rivolti, senza doversi sentire impegnato con regolarità.

Mi colpì la mamma di Daniele, con la sua rabbia verso quella di Luca e la responsabilità che le  addebitava per non aver salvaguardato la sua organizzazione. Inoltre riflettei sulla sua difficoltà  di spiegare al figlio che una cosa che è prevista non accade, ritenendo invece che fronteggiare una delusione possa costituire un momento costruttivo nella formazione dei figli.
Mi preoccupai di parlare con Alessandro, per capire come si trovava da Daniele. Mi disse che Daniele era molto irrequieto e con la sua presenza si rasserenava. Mi sembrò dal suo racconto che Alessandro avesse la percezione di essere invitato più per desiderio dei genitori che del suo compagno e che si sentisse funzionale, pur con la consapevolezza che può averne un bambino.
Ripensandoci a freddo mi chiedo se questa amicizia richieda un’eccessiva responsabilità per mio figlio o se invece, condividendola con noi, in famiglia, possa proseguire…”.

 

Il parere dello psicologo Marco Carafoli

Per rispondere alla domanda di Mina, mamma di Alessandro, possiamo partire dal vissuto, che lei stessa riporta, di essere rimasta ”colpita” dalla rabbia della mamma di Daniele. Realisticamente si può ipotizzare che sia sorta in lei una emozione corrispondente negativa (fastidio, irritazione..) e, che questa abbia poi dato origine alle sue reazioni e alle decisioni successive. Poniamo che, invece, pur tenendo conto delle proprie sgradevoli sensazioni, Mina, avesse attivato con la mamma di Daniele un ascolto di tipo empatico: ”capisco quanto lei possa sentirsi contrariata da questa situazione…”. Un atteggiamento di questo tipo, basato sulla capacità di distanziarsi, momentaneamente, dai propri vissuti emotivi e di mettersi nei panni dell’altro, offre il duplice vantaggio di comprendere meglio le ragioni di chi ci parla e di attivare in lui un cambiamento di prospettiva. Da questo gioco di scambio di ‘visioni del mondo’, molto spesso, discendono soluzioni alternative condivise, che prima non erano visibili. Qui ad es., le tre madri, attivando tra loro questo tipo di comunicazione, potrebbero rimandare ai rispettivi figli il seguente messaggio: ”voi siete liberi, entro i limiti del buon senso, di fare e accettare inviti a pranzo dai vostri compagni, in caso di sovrapposizione di inviti dovete però essere voi a trovare una soluzione”. Qualora, dietro il doppio invito, si celassero sentimenti quali la rivalità, la gelosia o l’invidia, a maggior ragione, il ruolo dei genitori si dovrebbe limitare all’ascolto e alla comprensione di questi sentimenti, così da restituire ai figli la libertà e la responsabilità di mettersi in gioco in prima persona nella loro nascente vita sociale.

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