E se i genitori hanno lo stesso sesso?

E se i genitori hanno lo stesso sesso?

Oggi su Bimbi Parma affrontiamo un argomento molto delicato, ma di grandissima attualità e importanza: a parlacene è DANIELE DURANTE, PSICOLOGO, COUNSELOR GERIATRICO E CONSULENTE FAMIGLIARE

Nel dibattito sulla crisi della matrimonio eterosessuale e in quello che sta infuocando le opinioni nelle scuole sulla teoria gender sta diventando sempre più pressante la necessità di prendere posizione rispetto alla legittimazione dei matrimoni e delle unioni civili di coppie omosessuali. I bambini italiani che vivono in queste coppie sono circa 100.000. Al centro di questo dibattito vi è il chiedersi se per questi bambini avere due genitori dello stesso sesso non significhi generare in loro problemi di comportamento o crisi identitarie in misura maggiore dei benefici; come conoscente diretto di membri di coppie omosessuali conosco gli effetti e le sensazioni generate del portato di tutto questo tam tam mediatico che si focalizza soprattutto sugli svantaggi ed è per questo che ho scelto volentieri di fare qualche riflessione.

teoriagender

Un resoconto
Ho letto di recente un articolo (link) in cui si raccolgono le testimonianze di alcuni ragazzi e ragazze americani cresciuti con persone dello stesso sesso. Non uso deliberatamente la parola figli o genitori perché già il fatto di chiamarli tali rimanda automaticamente al concetto di famiglia. Su questo tornerò più avanti. Come in tutte le ricerche sociologiche che si rispettino il modo migliore di farsi un’opinione su un fenomeno e documentarlo è chiedere ai diretti interessati ciò che li riguarda; è proprio ciò che ha fatto la fotografa newyorkese Gabriela Herman, figlia di una mamma dichiaratamente omosessuale che in una fase di quattro anni di lavoro ha narrato la propria storia attraverso un resoconto fotografico basato su esperienze di tante storie personali di ragazzi adottati oppure concepiti tramite inseminazione artificiale oppure figli di coppie divorziate.Dalle interviste trapela il senso di sicurezza, la sensibilità e l’affetto di questi ragazzi verso chi li ha amati e cresciuti; nessuna traccia di ripensamento, nessuna recriminazione o critica, nessun senso di colpa o di rivendicazione del diritto di appartenere a una famiglia o a una coppia “normale/naturale” con tanto di madre e di padre. Zach, uno dei ragazzi intervistati, afferma di aver sempre saputo che la sua fosse una situazione differente da quella di molti altri ragazzi, ma non l’ha mai trovato strano. Ha sempre pensato che fosse solo un diverso tipo di famiglia.

Qui in Italia
Storie simili da noi farebbero storcere il naso e restare increduli perché i detrattori delle unioni civili omosessuali che allevano figli si preoccupano soprattutto che questi ragazzi non vadano incontro negli anni a crisi di identità sessuale, a confusione sui ruoli. Le storie documentate dalla Herman andrebbero in direzione nettamente contraria rispetto a quella di chi sostiene che la coppia omosessuale debba rimanere una coppia e che la loro unione nulla ha a che vedere con il concetto di una famiglia; lo Stato italiano identifica la famiglia come nucleo in cui sono presenti un padre e una madre con figli. L’art. 29 della Costituzione italiana, invero, non parla di un padre e di una madre ma di genitori e di coniugi, lasciando intendere che si tratti di una coppia che ha generato dei figli e che per i figli nati fuori dal matrimonio lo Stato garantisce la loro tutela giuridica e sociale. Nella battaglia per la conquista dei Diritti delle persone omosessuali parlare di coppia è troppo riduttivo ma non mi voglio addentrare su questi aspetti. Ciò che affermano i membri delle coppie omosessuali è che le loro capacità genitoriali non c’entrano nulla con il loro orientamento sessuale ma con la capacità di prendersi cura e di amare un bambino adottato e provvedere a soddisfare i suoi bisogni proprio come avviene nelle coppie di genitori di sesso diverso o in un nucleo in cui il bambino vive con un solo genitore ma che cionondimeno è ancora “famiglia”.

Pro e contro?
Tra gli aspetti positivi portati a sostegno dell’affidamento dei bambini a coppie omosessuali vengono citati il fatto che :

  1. il bambino che vive con due persone che lo amano riceve come in qualsiasi altro nucleo adottivo tutela e protezione riguardo alla salute e alle sue esigenze.
  2. i bambini adottati da una coppia omosessuale crescono in un clima di affetto perché vivono con persone che in modo naturale provvedono a creare un clima che promuove la crescita del bambino e l’apprezzamento e il rispetto per la vita.
  3. i membri di una coppia omosessuale possono svolgere funzione di genitori adottivi non meno efficacemente delle coppie eterosessuali perché sono, come questi ultimi, detentori di diritti umani essenziali e autorealizzativi che riescono a trasmettere ai bambini adottati in tutti casi in modo più efficace di quanto non accada di bambini affidati alle Comunità per minori.

Tra gli aspetti negativi vengono citati il fatto che:

  1. i bambini potrebbero crescere in un ambiente in cui sono presenti adulti “non equilibrati” e che i bambini necessitano di disporre dei modelli di comportamento di entrambi i sessi.
  2. potrebbe entrare in crisi di fronte al 5 comandamento: “Onora il padre e la madre”.
  3. se questi bambini un giorno decidessero di avere la propria famiglia sarebbero confusi in quanto non confortati dall’esperienza che insegna come due genitori di sesso diverso si relazionano fra loro.

L’Associazione Italiana di Psicologia ricorda che le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale […]. Infatti i risultati delle ricerche psicologiche hanno da tempo documentato come il benessere psico­sociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno. In altre parole, non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano. In particolare, la ricerca psicologica ha messo in evidenza che ciò che è importante per il benessere dei bambini è la qualità dell’ambiente familiare che i genitori forniscono loro, indipendentemente dal fatto che essi siano dello stesso sesso.” Lo stesso orientamento ha l’American Psychoanalytic Association: “E’ nell’interesse del bambino sviluppare un attaccamento verso genitori coinvolti, competenti e capaci di cure. La valutazione di queste qualità genitoriali dovrebbe essere determinata senza pregiudizi rispetto all’orientamento sessuale”.
Un altro dato degno di nota e che non viene sufficientemente sottolineato riguarda le conseguenze della privazione affettiva sullo sviluppo psicologico e identitario di bambini “internati” negli istituti per minori e affidati ai servizi sociali. Sono circa 39.000 ma il numero è sottostimato e sono 25.000 i procedimenti aperti. Si tratta di bambini di coppie eterosessuali sottratti al loro nucleo famigliare per “inidoneità genitoriale”, ristrettezze economiche e presunti abusi sessuali (basta che un vicino chiami la Polizia per un sospetto perché scattino le misure restrittive). (link).

La questione dei giudizi di valore
Personalmente ritengo che il dibattito sull’educazione di bambini in coppie omosessuali debba cominciare a contemplare motivazioni di carattere scientifico-sociologico più che motivazioni religiose-ideologiche. A partire dalla consapevolezza di come usiamo il linguaggio per creare categorie sociali e di come i nostri giudizi di valore – omosessuale/eterosessuale, equilibrato/squilibrato, normale/anormale, maschile/femminile e soprattutto “giusto” e “sbagliato” – creino confusione e separazione più di quanto non la creerebbe portare l’attenzione su ciò che contribuisce a restare in contatto con la vita, con molte potenzialità neglette della natura umana e con gli schemi mentali indotti culturalmente che condizionano negativamente la qualità dei rapporti di accudimento di qualsiasi tipo. Quello che otterremo in termini di miglioramento della qualità dei rapporti tra bambini/ragazzi e di chi si prende cura di loro dipenderà dal dove si vuole concentrare la nostra attenzione. La ricerca mostra che focalizzarsi su ciò che “non funzionerebbe” rafforza la tendenza a criticare, accentua le difficoltà nel reperire soluzioni, crea resistenze e demotiva le persone. Come è stato osservato in uno studio condotto dall’Università del Wisconsin in cui venivano confrontate due squadre di sportivi; quella a cui venivano fatti vedere i propri successi invece degli errori andava incontro a un numero maggiore di successi e di miglioramenti. Vorrei mantenere la mia attenzione su ciò che di buono possono portare le unioni omosessuali e sui benefici che ne trarrebbero bambini che rischiano di essere relegati nei luoghi bui della burocrazia e dell’in-giustizia.
I bambini hanno bisogno di affetto, di sentirsi sicuri tra persone che li amano e che creano un clima il più possibile scevro da pregiudizi. Mi preoccupa per un bambino più la confusione generata dal portato di certi concetti “famiglia”, “genitore normale”, “genitore non equilibrato”, “genitore omosessuale”, ecc. Mi preoccupa l’effetto delle opinioni che si costruiscono attorno ai loro genitori adottivi. Questo perché viviamo in una cultura che crea stereotipi di genere e che categorizza socialmente e giuridicamente. Non siamo educati a parlare di bisogni delle persone, di motivazioni necessarie alla socializzazione e al mantenimento di una cultura del prendersi cura reciprocamente, perché siamo educati a trovare la soluzione ai problemi più che a ragionare su come formulare bene le premesse di una questione. E sappiamo che un problema bene impostato è già in buona parte risolto. Anche un bisogno accolto e riconosciuto è già soddisfatto per metà. In quanto esseri umani condividiamo tutti gli stessi bisogni e il nucleo genitoriale eterosessuale, omosessuale e persino monoparentale sono tutti modi diversi di prendersi cura. Vorrei che l’attenzione si orientasse sempre di più verso la collaborazione tra nuclei di persone che vicariano la funzione di altri nuclei in difficoltà per contrastare i più rapidamente possibile agli effetti dell’assenza di figure adulte amorevole nella vita di un bambino; sugli effetti di una crisi economica e di valori umani non ideologici che sta compromettendo l’integrità psico-fisica di molti genitori e la sicurezza e la serenità dei loro rapporti e anche sulla solidità e disponibilità di ponti affettivi tra nipoti e nonni sempre più estromessi dalla loro funzione educativa.

Daniele Durante, psicologo, counselor geriatrico e consulente famigliare,

da 20 anni si occupa d’invecchiamento anche problematico e degli effetti sociali dei pregiudizi verso le famiglie e verso i loro congiuDaniele Durantenti con problemi cognitivi e del comportamento. Ha accolto con piacere l’invito di Mamma Trovalavoro ad aderire alle sue iniziative. Dopo gli studi universitari a Padova, un tirocinio con l’équipe di Giacomo Rizzolatti (neuroni specchio) e presso Clinica Neurologica dell’Università di Parma, ha collaborato alla realizzazione di numerosi progetti di stimolazione cognitiva e sociale rivolti a persone anziane a domicilio e residenti in strutture sanitarie. E’ coautore di alcune pubblicazioni scientifiche nell’ambito della diagnosi e delle terapie complementari agli approcci medici ufficiali nelle cura e nella prevenzione dei disturbi della memoria e dell’attenzione.
Dal 2000, dopo aver conseguito una specializzazione a Bologna/Siena in Counselling famigliare, organizza e conduce gruppi di sostegno per i caregiver. Negli incontri individuali ha fornito indicazioni strategiche a quei famigliari (figlie, nipoti) più esposti agli effetti dello stress, dell’ipercoinvolgimento e dei tumulti emozionali interiori che compromettono i già delicati e instabili equilibri a livello personale e famigliare. Per questo essi rischiano di ammalarsi più spesso, se lavorano di lasciare il lavoro più spesso e se hanno una rete sociale di vedere allontanarsi sempre più amiche, conoscenti, andando incontro a condizioni di crescente isolamento.
Nei diversi anni in cui ha svolto attività di formatore nella rete dei servizi socio-sanitari e di consulenza esterna per l’Azienda USL di Parma e per la Regione Emilia Romagna, ha centrato l’attenzione sulla qualità del lavoro d’equipe e sulle bruciature professionali. Caregiver non sono solo i famigliari, ma anche gli operatori delle strutture (assistenti, infermiere, medici) che, oltre alla gravosità del carico lavorativo e all’esposizione continua alla sofferenza, subiscono la spersonalizzazione degli ambienti sanitari e dei protocolli clinici. La formazione e gli incontri d’équipe hanno avuto lo scopo di ridurre il più possibile il rischio, tutt’altro che raro, di deumanizzare e impoverire il rapporto degli operatori con se stessi/e, con i ricoverati e con le famiglie che glieli affidavano, e di lavorare sempre più in condizioni d’isolamento professionale.
Al momento vive e lavora a Parma, dove per sette anni ha ricoperto incarichi di responsabilità nell’ambito della cooperazione sociale e per tre ha coordinato iniziative di prevenzione sanitaria in collaborazione con Forum Solidarietà; attualmente svolge consulenze psicologiche e valutazione delle funzioni cognitive in studio, mentre a livello provinciale collabora come formatore per gruppi di caregiver, con cui sta sperimentando forme e strumenti di aggregazione sociale per ridurre la morsa del pregiudizio e dello stigma di cui essi stessi sono oggetto.
Crede profondamente nel ruolo delle azioni sociali che restituiscono potere (empowerment) alla gente e alle famiglie contro gli effetti devastanti della vergogna e della discriminazione per genere e per età. Si adopera per ridurre la distanza tra generazioni diffondendo la cultura del dialogo e della vicinanza tra nonni e nipoti, tra bambini cui si nega un futuro e a persone anziane cui l’invecchiamento patologico e l’indifferenza sostenuta dalla paura negano il presente.

Contatti: ddlifeconsult@gmail.com

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